Tentativi di scrivere intorno alla follia /3

50-gericault-la-zattera-della-medusa-1818-1024x704Di follia ho iniziato a scrivere fin da subito, fin dal mio primo romanzo breve intitolato L’albero in catene. In quelle pagine emerge una visione apparentemente ingenua del mondo degli ex manicomi, ma in quel momento, subito a ridosso della mia esperienza, la trasfigurazione onirica mi sembrava l’unico modo possibile di raffigurarlo, di darne una rappresentazione che ne rispettasse le coordinate e non le violentasse.
Il brano che segue è l’incipit del capitolo intitolato Le colonne d’Ercole.

I guai cominciarono quando oltrepassammo quello stretto, tristemente famoso nelle profezie dei nostri antenati. Il capitano non ne aveva mai fatto menzione, ma una sera, mentre stavamo riuniti come al solito a raccontarci le nostre storie ed a bere vino, si avvicinò a noi. La cosa c’insospettì immediatamente.
“Domani oltrepasseremo le colonne, vedete di comportarvi da uomini”, ci comunicò nel suo freddo gergo da ufficiale. Poi, senza attendere le nostre reazioni, si ritirò nella propria cabina.
Io non sapevo di che cosa stesse parlando, ma vidi impallidire ad uno ad uno i miei compagni. Alcuni si presero la testa tra le mani e ristettero così per alcuni minuti senza proferir parola, altri si attaccarono alla bottiglia buttando giù un sorso dopo l’altro, e anche a voler parlare non ne avevano il fiato a sufficienza.
“E’ tutta una maledetta fregatura!”, sbottò d’improvviso un ex marinaio, dopo essersi passato la lingua sulle labbra viola di vino.
“La vita intendo”, e fece una pausa per guardarci meglio alla luce delle stelle.
“Ogni volta che ci s’illude di aver finalmente preso la strada giusta, ogni volta che si ha il coraggio di scegliere…”, ma qui si fermò e scoppiò in singhiozzi.
Allibito da quella reazione volli saperne di più. Mi spiegarono che, secondo la leggenda, lo stretto segnava il confine del mondo civilizzato e che al di là non c’erano altro che isole selvagge, dominate dalla legge della violenza.
“Soltanto i più forti possono resistere”, concluse con voce tremante l’uomo che aveva avuto il coraggio di parlare.
Ironia volle che costui venisse considerato il più codardo tra noi avventurieri, poiché nella sua vita precedente era stato un impiegato di banca sempre mansueto e sottomesso ai propri superiori, finché un giorno, succube della situazione, non scoppiò a piangere davanti a tutti i suoi colleghi ed ai clienti presenti. Da allora non era più riuscito a lavorare, incapace com’era di prendersi delle responsabilità.
Poveraccio, pensai, tu sarai probabilmente il primo a cadere e magari neanche te lo aspetti.
Quella sera andammo tutti a dormire senza la solita allegria. Era come se una mano dagli artigli giganteschi stringesse in un unico pugno i nostri cuori di sopravvissuti. Avevamo speso le poche forze rimaste nell’affrontare il viaggio, non un’unica goccia ne rimaneva per reagire a questa ulteriore catastrofe. Eravamo ormai dei relitti in balia del destino, e quella notte trascorse agitata dal mare e dai nostri pensieri.
Al mattino ci sorprese un cielo strano attraversato da veloci nubi, mentre il sole sembrava come velato da una misteriosa foschia che ne alterava il colore. Fu in questa cornice che ci venne incontro la visione delle colonne, l’una posta di fronte all’altra, ai due estremi quasi tangenti dello stretto, imponenti come due fari di gigantesche proporzioni.
Più ci avvicinavamo e più il passaggio sembrava restringersi, al punto che, una volta giunti in prossimità del tanto temuto ostacolo, ci fu anche chi gridò che non ce l’avremmo fatta, che saremmo stati spacciati ancor prima di quanto pensassimo perché la nave si sarebbe incagliata e noi saremmo colati a picco con lei nei fondali più profondi della notte.
Ci volle tutta l’abilità del capitano per riuscire a passare attraverso quella cruna d’ago, ma nessuno pensò di festeggiare lo scampato pericolo. A bordo si era ormai smesso di giocare alle favole, quasi che ognuno di noi avesse lasciato il proprio passato al di là dello stretto. Forse eravamo i progenitori di una nuova umanità che avrebbe rinominato le cose usando diverse parole. E per questo era necessario attendere in silenzio che si accendesse la prima scintilla, da cui sarebbe nato tutto il resto.

 

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