Sull’amichettismo e la bolla letteraria

Partiamo da una premessa necessaria: per bolla letteraria intendo un gruppo di persone che, fisicamente o virtualmente, si conoscono e riconoscono il percorso di chi ne fa parte; delle persone che fanno parte o frequentano le redazioni di case editrici importanti, che sono nei comitati di lettura dei premi letterari e delle riviste o blog di settore, che tengono corsi di scrittura e partecipano a festival e convegni; in definitiva intendo un gruppo di persone che fanno parte, o ambiscono a farne parte, di un ambiente ristretto come quello dell’editoria (che ovviamente non coincide con la letteratura, ma questo è un altro discorso).

impossibilità di approfondire e necessità di azzeccare il tag giusto

In particolare vorrei qui soffermarmi su un particolare che caratterizza questo gruppo di persone: quello che viene definito “amichettismo” e che non si deve fare l’errore di confondere con l’amicizia, la cui caratteristica principale, a mio parere, dovrebbe essere il disinteresse.

Al contrario, le relazioni che si stabiliscono all’interno della bolla letteraria si basano su un sistema di favori che segue una logica mercantilistica da cui il letterato tipo, o presunto tale, si vanta di essere immune come se parlasse della peste. In questo sistema la ricompensa non è tanto economica (parliamo spesso davvero di spiccioli) quanto simbolica: la remunerazione ha cioè più a che fare con la reputazione, che nell’epoca dei social è diventata la nuova moneta di scambio, e il valore letterario si definisce quasi esclusivamente in base al peso dei feedback. Nella bolla si deve fare lo sforzo di stare sempre in vista, affidando ai paratesti (ciò che circola attorno al testo, con una predilezione quasi maniacale per tutto ciò che concerne il suo autore) il compito di creare la cornice dentro cui far galleggiare l’opera il più a lungo possibile.

Siamo di fronte, a tutti gli effetti, a un’economia parallela, a una borsa valori la cui valuta è un nuovo tipo di parola, scritta per così dire con la penna cancellabile. Per quanto ne rimanga traccia – la cui ricerca è però poi appannaggio dei tecnici informatici – ciò che scriviamo online, al contrario di quanto stampato sulla carta, può essere sempre modificato o addirittura cancellato. Nell’ottica della testualità diffusa che caratterizza la nostra epoca, tutto questo si traduce, per la comunità letteraria, nel quotidiano spettacolo delle scaramucce per posizionarsi all’interno di uno spazio sempre più stretto – uno spettacolo, oltretutto, che sembra ahimè incuriosire gli addetti ai lavori più degli stessi testi con cui dovrebbero seriamente lavorare.

Tirarsi fuori da queste dinamiche significa semplicemente scomparire dai radar, rischiare di perdere in poco tempo quella chiave di accesso, costruita in anni di pubblicazioni, che apre la via preferenziale per farsi leggere senza attendere risposte che non arriveranno mai. Il fatto è che tutto questo, come in ogni economia che si rispetti, ha un costo abbastanza salato, calcolato nel numero di ore che si devono spendere nel gestire la propria reputazione anziché studiare e scrivere, che dovrebbe poi essere il lavoro principale di chi ha l’ambizione di essere uno scrittore; per non parlare poi del ruolo della critica, che è stata a tal punto depotenziata e sostituita dal genere recensione – un format possibilmente breve e leggero, che non annoi il potenziale follower – da non avere più la benché minima influenza sui lettori.

Tutte cose già dette e scritte da altri prima di me, ma che viste da fuori appaiono ancora più piccole e meschine, il segno di una miseria intellettuale che solo la mole inquietante dei libri pubblicati ogni giorno riesce in parte a nascondere. La scusa ormai più gettonata è infatti questa: l’iperproduttività del mercato richiede velocità per stare al passo, impossibilità di approfondire e necessità di azzeccare il tag giusto. Se ogni libro dura quanto un click, non resta in fondo che parlare di chi i libri li scrive e lasciare che il discorso sia proferito unicamente dalla prima persona: Io, Io, Io.

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