Questo pezzo è uscito originariamente su Satisfiction
Se penso a Mishima, al modo con cui mi divorai in poco tempo quasi tutta la sua bibliografia, devo ritornare con la memoria ai primi anni dell’università, alla metà degli anni Novanta e alle musicassette registrate dei CCCP, grazie ai quali scoprii l’esistenza dello scrittore giapponese.
Nel rileggere Il Padiglione d’oro (Feltrinelli, 1996) non fatico a ritrovare quegli elementi che mi colpirono già allora, primi tra tutti la scrittura così controllata dell’autore e la capacità di condensare il mondo in un quadretto. Ecco ad esempio come Mizoguchi, il giovane protagonista del romanzo, descrive il tempio per come se lo immagina dopo averne letto la storia in un libro d’arte: «Simile ad una luna sospesa in un cielo notturno, il Padiglione d’oro era stato costruito quasi a simbolo d’un’epoca fosca e tetra: era dunque inevitabile che il Padiglione dei miei sogni fosse circondato da ogni parte d’oscurità. In quella oscurità la costruzione dai bei pilastri snelli stava silenziosa e salda, sprigionando una vaga luce dall’interno.» La descrizione continua con la fenice d’oro che corona il tetto del tempio, poche righe più avanti paragonato a «un elegante vascello sul mare del tempo.» Continua a leggere L’arte della disciplina