Il mio romanzo Bianco su bianco (Castelvecchi) è stato votato nelle Classifiche di Qualità dell’Indiscreto (ottobre 2022/febbraio 2023)
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Bianco su bianco
Dal 3 febbraio è in tutte le librerie Bianco su bianco, il mio nuovo romanzo pubblicato da Castelvecchi.

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Questa è la storia di tre vite. Matei è un vecchio senza fissa dimora che, partendo dalla Moldavia e sfuggendo ai ricordi di una infanzia difficile e piena di insidie, ha girovagato per mezza Europa prima di approdare a Roma, dove ha trovato il proprio fazzoletto di marciapiede. Nadia è una scrittrice di successo che ricorda il suo primo incontro con il dolore di Matei e l’abbandono di Alberto, un pittore con cui ha convissuto per anni e che l’ha poi lasciata per seguire la propria arte tra le strade di Parigi, dove conoscerà la miseria pur di non sottostare alle leggi del mercato. Nadia perde entrambi: prima Alberto, dal quale si è sentita tradita e abbandonata, poi Matei, verso il quale si sentirà invece in colpa per non essere riuscita ad aiutarlo. Perdite che prova a risarcire scrivendo un romanzo in cui racconta le tre esistenze che si incrociano e che prendono strade diverse: il dolore, le rinunce e la consapevolezza di non riavere più indietro quella vita da cui, nel bene e nel male, ognuno di loro fugge.
inedito
Nel corso del 2020 ho lavorato a un romanzo inedito che parla di arte e del prezzo delle rinunce. Nadia, la protagonista, pubblica un romanzo intitolato “La femmina fantasma” in cui racconta la storia della sua relazione con Alberto, un pittore morto di stenti a Parigi e diventato famoso postumo. Alle pagine del romanzo si alternano quelle della sua genesi, in un’alternanza continua tra prima e terza persona. Quello che segue è l’incipit.
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Da un po’ di tempo ho riscoperto la gioia di scrivere, grazie alla carta e alla penna, e visto che la gioia è qualcosa che merita di essere condiviso, ho deciso di pubblicare periodicamente degli estratti della storia che sto immaginando. Buona lettura!
Pino si mise l’indice in bocca, lo inumidì e lo usò per raccogliere i rimasugli di noccioline stantie rimaste nella piccola ciotola di coccio.
– Dunque adesso pensi che si possa uscire dal naufragio?
– Non lo so, la contemplazione continua a esercitare un certo fascino sul sottoscritto.
La cameriera – una donna anziana con una leggera zoppia alla gamba destra e dei vistosi incisivi giallognoli, che il rossetto metteva spietatamente in risalto – disse loro che ancora cinque minuti e sciò, perché era l’ora di chiuder bottega.
– A chicchi, andate a contemplavve da n’artra parte.
Pino le mostrò il bicchiere sudicio portandoselo davanti al naso.
– Fai ripicche? Se non t’aggrada ora ce stanno i bengalini.
Nel quartiere erano infatti già comparsi i primi alimentari gestiti da intere famiglie emigrate dal Bangladesh, la cui comunità avrebbe presto gareggiato in numeri con quella cinese. Era evidentemente a loro che faceva riferimento la signora Rosa – una rosa è una rosa è una rosa, le diceva ogni tanto Rosario per il solo gusto di sentirla rispondere: Ma che stai a di’ ?! – quando ricorreva al termine poco ortodosso di bengalini.
– Il termine corretto sarebbe diamantini. Mio padre una volta ne aveva tanti. Anche qualche canarino e gli inseparabili, ma in una voliera a parte.
Si erano fermati all’incrocio con via Grosseto, dove erano soliti prolungare la serata con un’ultima sigaretta.
– Le gabbie sono un’invenzione orribile, disse Pino.
– Ho detto voliere. Ma mi ascolti?
– Fossero anche piscine, che cosa cambia?
– Adesso stai parlando di pesci?
– Di ogni essere la cui libertà venga arbitrariamente limitata o addirittura negata.
Rosario fissò pensieroso il mozzicone che stringeva tra due dita e con una schicchera lo scaraventò lontano.
– Al manicomio si sarebbero presi a morsi per quest’ultimo tiro.
– Senti, questo non ti dà l’esclusiva sul concetto di libertà. Ne abbiamo già ampiamente discusso.
– Però devi ammetterne che dovrei saperne qualcosina in più di te.
Tre anni prima Rosario aveva fatto il servizio civile al San Niccolò di Siena, all’interno delle cui mura aveva vissuto per quattordici mesi – con la non trascurabile differenza che poteva uscire e rientrare dal grande cancello senza alcuna limitazione e senza l’effetto delle pasticche che gli ospiti ingollavano dalla mattina alla sera – ricavandone tutta una serie di aneddoti che aveva disseminato nei propri racconti. Pino li aveva letti tutti e ogni volta che gliene capitava uno nuovo sotto agli occhi rimaneva fermo per un po’ sull’ultimo foglio di carta, eseguendo un dondolio ipnotico con il busto che era una specie di ballo lento, finché non se ne usciva con certe espressioni – del tipo: Bello, ma non è un racconto – che facevano uscire di testa Rosario.
Ma di dove veniva questa fissazione del Nuvola di voler essere scrittore?
Nessuna gioia di scrivere
Il brano che segue, tratto dal romanzo Il posto di Annie Ernaux (L’Orma Editore, 2014), è una dichiarazione di poetica che mi sento di sottoscrivere. Un altro titolo buono per questo post poteva essere anche: Si dovrebbe sempre scrivere soltanto del necessario. Oppure: il peso di ogni singola parola.
Scrivo lentamente. Sforzandomi di far emergere la trama significativa di una vita da un insieme di fatti e di scelte, ho l’impressione di perdere, strada facendo, lo specifico profilo della figura di mio padre. L’ossatura tende a prendere il posto di tutto il resto, l’idea a correre da sola. Se al contrario lascio scivolare le immagini del ricordo, lo rivedo com’era, la sua risata. E la sua andatura, mi conduce per mano alla fiera e le giostre mi terrorizzano, tutti i segni di una condizione condivisa con altri mi diventano indifferenti. Ogni volta, mi strappo via dalla trappola dell’individuale.
Naturalmente, nessuna gioia di scrivere, in questa impresa in cui mi attengo più che posso a parole e frasi sentite davvero, talvolta sottolineandole con dei corsivi. Non per indicare al lettore un doppio senso e offrirgli così il piacere di una complicità, che respingo invece in tutte le forme che può prendere, nostalgia, patetismo o derisione. Semplicemente perché queste parole e frasi dicono i limiti e il colore del mondo in cui visse mio padre, in cui anch’io ho vissuto. E non si usava mai una parola per un’altra.
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Riflessioni sparse sullo scrivere un romanzo contemporaneo
Oggi, mentre curiosavo tra i miei quaderni, ho ritrovato alcune vecchie considerazioni sulla stesura di un romanzo che trovo interessanti (anche se potrebbero apparire in parte ingenue).
Un romanzo deve essere CONTEMPORANEO nella lingua, nella forma e nei contenuti [basta giochetti letterari, il bello stile, l’esercizio fine a se stesso, le belle mezze idee che non portano a niente] Continua a leggere Riflessioni sparse sullo scrivere un romanzo contemporaneo
Siamo stati tutti dei principianti
Recentemente ho ritrovato il file di un vecchio romanzo (scritto intorno al 2004/2005 e che avevo intitolato L’anima del mondo è povera), da cui ho poi estratto una parte che ho rielaborato e che è stata pubblicata come racconto (intitolato Passaggi dagli sconosciuti) nella raccolta L’ora migliore (Il Foglio edizioni, 2011). Rileggendolo me ne sono vergognato un po’ (soprattutto per averlo mandato in lettura ad alcuni editori, tra cui sicuramente Minimum Fax), perché è pieno di luoghi comuni e di tanti errori tipici di un principiante. Se ho deciso però di renderne pubblica una piccola parte è proprio perché penso possa essere utile come esempio per chi si voglia approcciare alla scrittura.
Come potrete notare leggendolo, si capisce subito che la mia ambizione fosse quella di scrivere un romanzo cinematografico (all’epoca ero un dottorando in storia e critica del cinema): l’ambientazione del romanzo voleva un po’ ricreare le atmosfere alla David Lynch, mentre lo stile faceva un po’ il verso (un verso assolutamente sguaiato e ridicolo) a certi scrittori “maudit” che avevo da poco letto (Céline e Kerouac su tutti).
Quello che segue è l’incipit del capitolo 3, ovvero un campionario di tutte le scempiaggini da evitare quando si scrive una storia. Continua a leggere Siamo stati tutti dei principianti
Dal mio primo romanzo
Sono ormai passati 11 anni dalla pubblicazione del mio primo romanzo, L’albero in catene (NonSoloParole Edizioni).
Ne ripropongo qua due brevi estratti (un altro potete leggerlo qui).
Continuai a parlare, ormai ero un fiume in piena, volevo rinfacciar loro tutti quei falsi ideali di cui si cibavano, tutte quelle belle forme marce di cui si contornavano, dei loro sentimenti ormai putridi volevo parlargli. Ma, infervorato com’ero, non mi accorsi di un gruppo di uomini che mi aveva alla fine afferrato e che mi trascinava verso l’uscita. Sembrava di stare a una battuta di caccia, con tutta quanta la corte al seguito e il banchetto che ci attendeva per festeggiare. Volti sfumati e irriconoscibili di gente incredula sfilarono davanti ai miei occhi, come tante lampadine intermittenti. Mi lasciai trascinare passivamente: io ero l’animale dietro a cui si perde la scia di sangue che nutre mosche e riporta sempre all’origine di tutto. E così il supplizio aveva avuto inizio, anche senza Caronte il mio viaggio all’inferno andava comunque in porto. Continua a leggere Dal mio primo romanzo
Appunti per un romanzo sul cinema /5
Il cineambulo è un soggetto che patisce il mondo, che vive a occhi aperti ma senza vedere, o vedendo troppo – le immagini che passano davanti ai suoi occhi arrivano infatti da un altrove già visto e sperimentato che non si deposita nella memoria, che rimane presente senza farsi passato. Egli è cioè incapace di liberarsi di certe sequenze, dettagli, primi piani; spezzoni di pellicola che si materializzano all’improvviso, sovrapponendosi con la realtà del mondo fisico. Continua a leggere Appunti per un romanzo sul cinema /5
Ostaggio
Quello che segue è il primo racconto che ho scritto in assoluto e che poi è confluito all’interno del romanzo L’albero in catene, in un capitolo onirico intitolato “Il sogno di una farfalla”.
Il titolo originale del racconto era Ostaggio.
C’è un ragazzo, silenzioso, che nella nebbia di questa città si perde e svanisce. Osserva, rotea gli occhi, ed in ogni angolo di strada avverte un senso di disagio. Monotone giornate grige, rischiarate verso sera dal rosso cielo tossico: così è per entrambi, ed è in questo clima che attendiamo. Le nostre ombre, allungate dalla luce artificiale, sembrano quasi tendere alla congiunzione. Lineamenti indefiniti, senza occhi né bocca. E’ vuoto il suono che emette. Afferro un sasso e lo scaglio contro il miserrimo personaggio, individuo divorato dal cancro della curiosità. Lo sento arrivare, da ogni direzione, con passo spedito, minaccioso. Continua a leggere Ostaggio
Bozzetto preparatorio alla stesura di un nuovo romanzo
Vera s’è alzata, non era ancora l’alba, e al buio ha rovesciato i nostri pensieri: un fracasso che non avrebbe voluto; ma anche se, alla fine li ha rotti.
Coi capelli ha coperto il cielo; e io che non vedevo niente, nemmeno il sorriso di una nuvola o il suo pianto.
«Vera,» le ho detto, «cos’è questo sussulto?»
Scrollava le spalle: un pianto di muscoli da tremare tutta la stanza.
«Rido di noi,» mi ha risposto. Continua a leggere Bozzetto preparatorio alla stesura di un nuovo romanzo
Lavori in corso
Dopo vari tentativi lasciati da parte, ma non buttati perché non si sa mai (gli avanzi, con la scrittura, si tengono sempre da parte), forse ci siamo.
Sto lavorando a un nuovo romanzo, che conto di finire per il mese di settembre: Continua a leggere Lavori in corso